Il profumo – Alfredo, testimone
Mi accorgo che altro non speravo
dal volere Paterno.
E quel passato è già futuro eterno.
Poesia
(14 ottobre 1991)
Come un fiore reciso pronto a spandere il suo profumo, il 24 agosto, di buon mattino, Alfredo saluta il vescovo per rientrare ad Alua. In località Muiravale – dove la strada impone di diminuire la velocità dell’acceleratore – viene ucciso dai guerriglieri con una raffica di mitra: l’auto, una Land Rover 110, bianca, con bande laterali azzurre, segni distintivi dei missionari in quelle zone, diventa così bersaglio di numerosi colpi di mitra.
Una colonna della Compagnia industriale di Monapo scortata dai soldati, proveniente da Nacala, si ferma sul luogo dell’attentato. L’uomo nella macchina seduto al volante è già morto, con il corpo piegato su un fianco, il volto e la testa trapassati da una pallottola esplosiva. Si comprende che è un missionario e bisogna avvertire i comboniani di Carapira. Il riconoscimento di Alfredo non è stato immediato. Suor Giulia ne ricompone il volto e la testa e lo riconosce: È fratel Alfredo!
Il racconto dei funerali celebrati a Carapira il 25 agosto da Mons. Germano Grachane, vescovo di Nacala, è scritto nel cuore di tanti, ancora in vita, che hanno onorato quest’uomo da tutti ritenuti un giusto. Il 31 agosto a Fiumicino arriva il feretro, un abbraccio di folla lo accoglie nella sua Terracina dove Mons. Domenico Pecile presiede il rito funebre unito ai familiari, agli amici, ai sacerdoti e a tantissima gente accorsa nel piazzale antistante la Parrocchia di San Domenico Savio, che oggi custodisce le sue spoglie. Toccanti le parole del vescovo: “Qui, oggi, un appello forte a interrogarci sul nostro modo di vivere, sul senso che stiamo dando alla nostra esistenza. Alfredo non ha concluso semplicemente la sua esistenza, ma la morte, il modo della sua morte, è il coronamento della sua scelta, è l’ultima definitiva risposta al Padre, che in modo misterioso lo aveva chiamato legandolo a sé, perché nelle sue mani, col suo cuore continuasse a essere presenza vivente del Cristo”.
Nella sua stanzetta – racconta padre Palagi – rimasero libri, vestiti, carte varie, quaderni… Ma tra tutti, il primo germoglio, dopo 17 anni di guerra civile, è l’accordo di pace firmato a Roma il 4 ottobre 1992 tra il presidente mozambicano Chissano e il leader della Renamo, Dhlakama: la parola Pace, l’aspirazione più grande del popolo mozambicano, inizia a scriversi con un inchiostro rubino, del sangue versato di un testimone. Un medico non solo per i corpi, questa l’eredità di fratel Alfredo che si consegna alle nuove generazioni.